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All’Arcos di Benevento in mostra le opere di Arturo Pagano

Giovedì 13 maggio alle ore 11,00, nella Sezione Arte Contemporanea del Museo Arcos di Benevento, apre al pubblico la mostra di Artuto Pagano: Opere 1977-1985. La mostra presenta oltre quaranta opere, dipinti e disegni, realizzate dall’artista tra il 1977 e il 1985 nei suoi lunghi soggiorni romani, respirando l’aria dei cambiamenti di una pittura che ritrovava una sua   nuova   prospettiva.   Sono   opere   che   testimoniano   dei   legami   con   il   mondo   mediterraneo, abitato da figure mitologiche e da archetipi che pagano lascia affiorare come segni di una sentita, profonda identità.

“Dopo il lungo periodo di chiusura – osserva Ferdinando Creta,   direttore di Arcos – dapprima con la mostra di Franco Marrocco, e poi con questa che oggi dedichiamo ad Arturo Pagano, il Museo riprende pienamente la sua attività espositiva. Lo fa con un artista che da decenni è residente a Benevento e che ha un significativo riconoscimento sul piano nazionale. L’esposizione propone un nucleo   di   opere,   rimaste   per   oltre   quattro   decenni   inedite   e   che   oggi,   sulle   pareti   di   ARCOS, ripropongono un dibattito vivo negli anni di passaggio e di ‘riflusso’ ideologico: è paradossale, ma del suo passato artistico, si erano salvate, dalle acque esondate del Calore nel 2015 che distrussero completamente il suo studio, solo queste prime opere, i dipinti, le carte, i cartoni, che avevano segnato il suo approccio alla pittura. Con la mostra dedicata ad Arturo Pagano, uno degli interpreti più interessanti dell’arte degli anni Ottanta e Novanta, il nostro museo riafferma il suo interesse a ricostruire le pagine delle vicende artistiche contemporanee della Campania”.

“Sono certo, conoscendo Arturo da poco meno di quarant’anni – scrive  Massimo Bignardi nella monografia pubblicata dalla Gutenberg Edizioni –, che restaurare le prime opere della sua intensa carriera artistica, fu il segnale per ripartire, lasciandosi alle spalle le acque esondate del Calore, che attraversano Benevento e che portarono via l’attrezzatura fotografica finita nel fondo, le casse con all’interno le opere che rientravano dalla mostra, tenuta settimane prima a Colonia e, con esse, quelle sulle quali stava lavorando. Alla decisione di ripartire dal ‘grado zero’, ha fatto seguito il lungo, accorto lavoro di restauro; un foglio dopo l’altro asciugato con cura, evitando interventi ex-novo, cioè rinunciando ad ingombrare con nuove colorazioni la delicata trama di segni che le carte o i cartoni avevano conservato. È stato un esercizio delicato, richiamando, a volte, emozioni lasciate al tempo, disposte, però, a dare il senso di quella durata, di cui parla Bergson, che non può non sostenersi sulla coscienza. Il recupero oggettivo, in pratica il processo che formalmente mira a restituire l’unità compositiva dell’opera, diviene motivo per ripensare alla pittura figurativa, il che non è stato l’abbandono di quel dettato astratto e neo-costruttivo, che ha segnato e segna i lavori di questi ultimi cinque anni. È stato mettere in atto un processo, guidato dalla coscienza, che gli ha permesso di ricongiungersi   con   la   pittura, con i miti, le relazioni, le passioni, che accesero   la stagione, a cavallo di due decenni, nella quale, ondivago, si muoveva tra Napoli, Roma e Milano. Nei suoi dipinti, nei disegni le affiora un   paesaggio arcaico, che l’artista   intrecciava   con l’animata vita della sua terra, dei miti che, dalla scogliera sulla quale si affaccia la sua città natale, Torre del Greco, sale fin sulla bocca del Vesuvio, dalla quale lo sguardo domina l’intero golfo di Partenope. Figure di una terra   ancestrale, che Pagano avverte quale sua profonda identità esistenziale, come archetipo, avrebbe detto Jung, al quale si radica l’intera sua   esperienza creativa”.

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